Alla terra i miei occhi di Mauro Liggi, Interno Poesia 2024


Il ragazzino troppo magro, dalle spalle larghe e con le gambe esili, rincorre ancora le lucertole e riempie i suoi secchielli di sabbia. Nonostante il camice e il bisturi, tra le righe di quei versi incisivi, quasi freddi come i cadaveri che vede in reparto, il ragazzino ora adulto, sembra correre ancora e poi ancora su quella spiaggia, non più alla ricerca dei pesciolini ma di quelli che generosamente chiamiamo ricordi.
Solo una mamma può capire il grido sgraziato del figlio, della notte che avanza nei suoi versi, in quel rinnegare l’alba per la paura di non trovare la fioritura, l’alba che può annunciare la morte negli ospedali, l’alba che svela la verità delle mancanze, delle assenze. Quanta paura anche a toccare un corpo vivo con tenerezza, chi amore ne ha tanto ma sembra che non sia mai abbastanza quando si ha difronte la persona amata.
Mauro per un momento non è altro che il riflesso del buio che gli ha rapito gli affetti, ma il ritmo di questi versi è sempre più potente, c’è una variazione di enfasi, la successione diventa naturale come accade alla terra: la pioggia, i temporali, il germoglio che si fa vita sotto terra; l’inquietudine umana che si fa albero, gli affanni quotidiani affossano l’uomo, lo sprofondano nel buio ma la terra ci insegna come è importante starci sotto per risalire e spaccare la zolla.
L’amore di una madre non ha mai una scadenza, è quel maglione di lana che ci protegge per sempre, il maglione che ricorda Mauro. Mi sembra di vedere un bambino rannicchiato tra le braccia della propria madre, dopo una caduta e il pianto arriva il bacio sulla guancia e il bambino sorride nuovamente. Ecco il miracolo della vita: la cura. Si può rinascere, con calma, con le temperature giuste e diventare una folta chioma pronta a resistere a tutte le stagioni della vita.

raffaella rossi